RC DEGLI INTERMEDIARI: CHE COSA STA CAMBIANDO CON IL COVID-19
L’eredità del Covid-19
Lo scenario, nove mesi dopo l’inizio dell’emergenza, resta incerto e le domande aperte numerose, ma per gli intermediari assicurativi i rischi e le opportunità originati dalla pandemia stanno prendendo forma concreta. La presentazione dell’Annual Report 2019 del CESIA è stata un’occasione per discuterne.
Massimo Michaud, coordinatore CESIA, ha interpellato Pierpaolo Marano e Sara Landini, membri del Comitato scientifico del CESIA; Anna Carla Nazzaro, professore ordinario dell’Università di Firenze; Maurizio Hazan, avvocato. Ecco, in sintesi, che cosa hanno detto.
Anna Carla Nazzaro, professore ordinario dell’Università di Firenze. Stanno creandosi le premesse per riscoprire la vera natura del lavoro l’intermediario. Sembra un’affermazione eccessiva, ma se analizziamo come stanno evolvendo gli obblighi, si scopre che è proprio così. Il quadro configurato dalle norme primarie e dalle due norme secondarie emanate quest’anno (il regolamento IVASS n. 97 e la delibera Consob n. 21466 del 29 luglio che ha sostituito il regolamento IVASS n. 40 del 2018) fa emergere con forza l’obbligo, prima della firma, di raccogliere le informazioni per valutare l’adeguatezza del contratto che si sta proponendo e fornire al soggetto da assicurare informazioni oggettive.
Il contratto deve essere coerente con le esigenze di chi lo sottoscrive e la raccomandazione dell’intermediario deve essere personalizzata. Le norme disegnano, di fatto, un obbligo di assistenza che l’intermediario deve poi riempire di contenuti. Questo implica un rapporto circolare tra intermediario e soggetto da assicurare: raccolta d’informazioni e consiglio del prodotto interagiscono. La sequenza operativa disegnata dalle norme è lineare ma l’applicazione pone non pochi problemi, a cominciare dalla qualità delle informazioni raccolte perché, spesso, chi sta per assicurarsi non è in grado di fornire quel che i questionari richiedono.
Pierpaolo Marano, membro del Comitato scientifico del CESIA. La pandemia ha indotto l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA) a testare la capacità del sistema assicurativo di adattarsi alla nuova situazione. Questo è avvenuto attraverso l’emanazione di raccomandazioni non vincolanti che gli Stati membri hanno poi recepito in buona parte. L’intervento dell’EIOPA si è articolato essenzialmente lungo tre direttrici. Anzitutto, si è enfatizzata l’esigenza che le imprese e gli intermediari fossero in condizione di garantire la continuità operativa e, quindi, di fronteggiare gli obblighi del contratto assicurativo, pur dovendo operare a distanza. Si è trattato, di fatto, in un’applicazione dei contingency plan che ha riguardato sia la liquidativa, sia quella assuntiva. Su quest’ultimo aspetto, il legislatore nazionale è intervenuto rendendo possibile la finalizzazione dei contratti via e-mail.
La seconda direttrice è stata quella della solvibilità con una serie di richieste inerenti non solo alla misurazione dell’impatto della pandemia sulla capacità delle imprese a sostenere i loro impegni verso gli assicurati, ma anche con l’invito a sospendere la distribuzione dei dividendi e l’acquisto di azioni proprie fino al superamento della fase di emergenza. La terza direttrice, infine, ha riguardato la struttura dei prodotti e la loro perdurante capacità a soddisfare interessi ed esigenze degli assicurati. L’indicazione, in questo caso, è stata di rivedere le condizioni dei contratti in corso tenendo conto della nuova situazione. In pratica, un invito alle imprese a valutare se gli scenari configurati al momento del collocamento del prodotto potevano ancora considerarsi validi o se, invece, il prodotto avesse bisogno di una manutenzione.
Sara Landini, membro del comitato scientifico del CESIA. La pandemia ha portato in primo piano le clausole di esclusione dalla copertura assicurativa, materia diversamente disciplinata in Italia e nel mondo.
La normativa al riguardo non è del tutto chiara e, in Italia, gli intermediari faticano a capire quando la copertura è attiva. A livello mondiale, il tema ha interessato soprattutto il ramo danni, polizze health e business interruption, molto presenti soprattutto nel mercato americano dove da tempo la domanda è alta.
In Italia il problema dell’operatività della copertura in caso di perdite derivanti dalla pandemia dovrebbe essere facilmente risolto dall’articolo 1912 del codice civile in base al quale: “Salvo patto contrario, l’assicuratore non è obbligato per i danni determinati da movimenti tellurici, da guerra, da insurrezione o da tumulti popolari”.
Secondo un’interpretazione largamente condivisa, la norma italiana di riferimento contiene solo un elenco esemplificativo dei rischi catastrofali che determinano l’esclusione della copertura, il che porterebbe a concludere che dalla copertura sono esclusi tutti gli eventi catastrofali quando non esplicitamente previsti dal contratto. Si tratta, appunto, di un’interpretazione che lascia il problema aperto.
Anche in presenza di esclusioni che non facciano riferimento espressamente alla pandemia si darà luogo a interpretazioni che, in base all’articolo 1370 del codice civile, dovranno essere contro l’autore della polizza ovvero l’assicuratore, portando a ritenere la copertura operativa.
Proprio a causa di questa incertezza, è possibile che, in buona fede, un intermediario distribuisca prodotti con una copertura dubbia ponendo le premesse di un contenzioso. La richiesta di un chiarimento scritto alla compagnia sull’estensione della copertura appare, in prospettiva, la soluzione più efficace per affrontare il problema. Il problema normativo si estende anche al contenzioso davanti ai giudici civili. Fin qui gli intermediari hanno avuto a che fare con l’IVASS e quindi con le norme proprie della regolamentazione assicurativa, ma i giudici decidono sulla base, soprattutto, di codice civile e costituzione. Non solo, ma i giudici italiani possono decidere anche su casi simili in modo molto diverso.
Occorrerebbe una maggiore conoscenza e sensibilità dei giudici per la normativa di settore anche per migliorare la predittività delle decisioni. L’auspicio è che sia introdotta la figura dell’arbitro assicurativo, analogamente a quanto avviene in altri settori, e che si affermino prassi da utilizzare come riferimento anche per la costruzione di modelli di organizzazione, gestione e controllo.
Maurizio Hazan, avvocato. Il già difficile mercato delle assicurazioni della responsabilità sanitaria rischia di esser messo ancor più in crisi dal Covid. Sin dall’inizio dell’emergenza, l’entità del fenomeno pandemico faceva temere un’esplosione di cause di responsabilità e class action nel settore sanitario. Fino ad oggi è andata diversamente: le procure si sono dimostrate prudenti, stante la difficoltà, anche etica, di mettere sotto accusa i professionisti che hanno lottato in prima linea per contenere il fenomeno. Sotto il profilo civilistico, la normativa sulla responsabilità medica (legge Gelli), fondata sul principio della prevenzione e del rispetto di linee guida, si scontra con una pandemia di cui, ancora oggi, non sono note tutte le coordinate. Difficile, dunque, in un contesto emergenziale che l’intero pianeta non ha saputo arginare, individuare le regole di condotta alla luce delle quali vagliare la misura della dovuta diligenza professionale. Tutto questo almeno nei primi mesi della crisi, in cui allo sforzo titanico dei professionisti e delle strutture sanitarie per contenere i danni si accompagnavano istruzioni operative incerte e instabili.
A questo si aggiunga anche il fatto che la giurisprudenza ha cambiato approccio sul riparto degli oneri probatori: non è più la struttura o il medico a dover provare la mancanza del nesso di causa, ma il paziente a dover dimostrare che il danno (nel nostro caso da Covid) sia riconducibile causalmente a una condotta della struttura o degli operatori della sanità.
Se, dunque, la cautela ha prevalso in relazione ai primi mesi del Covid, la situazione potrebbe di qui a breve evolvere pericolosamente. L’esperienza passata, seppur non consolidata, comincia a consentire la formazione di protocolli che potrebbero, di fronte a una seconda ondata del fenomeno, costituire il paradigma della condotta esigibile, alla cui violazione ricondurre responsabilità strutturali o individuali.
Vien però da chiedersi se, in termini più generali, e di fronte a un fenomeno di dimensione mondiale, la ricerca a tutti i costi di responsabilità risarcitorie sia davvero la strada giusta. Il sostegno sociale che si va ricercando dovrebbe forse esprimersi, più che in una prospettiva sanzionatoria, in un contesto di solidarietà, per esempio attraverso la costituzione di fondi ad hoc.
Certo un contesto così complesso pone in evidenza la delicatezza della questione assicurativa, in un mercato (quello delle polizze di RC sanitaria) già diffidente e povero prima del Covid. Aggiungerei, poi, che l’attuale situazione ha fatto emergere la necessità per gli intermediari di rafforzare le loro competenze anche e proprio sui temi della responsabilità che si vuole garantire.
Con l’applicazione della direttiva europea sulla distribuzione dei prodotti assicurativi (IDD), l’adeguatezza della copertura diventa un elemento fondamentale. La profilazione richiede la conoscenza degli elementi essenziali della materia e, quindi, uno sforzo di qualificazione tecnica. Al riguardo osservo come la centralità, per anni, del prodotto RC auto sia stata, in questo senso, diseducativa: un prodotto da banco, obbligatorio, ha spostato il dialogo con il cliente dal contenuto della garanzia al prezzo. Ma oggi è indispensabile un cambiamento di approccio. Bisogna interagire di più con gli assicurati per capirne i bisogni: collocare un prodotto adeguato vuol dire, anzitutto intercettare e capire le esigenze del cliente. Bisogna, anche, comunicare con maggiore chiarezza e semplicità perché, temo, che se l’intermediario non sarà in grado, in sede pre-contrattuale, di esplorare correttamente l’esigenza del cliente, il rischio di contenzioso diverrà molto alto. Non sul versante del rischio garantito, ma su quello della responsabilità per violazione delle regole di corretto collocamento delle polizze.