CONSULENZA E CONSIGLIO PROFESSIONALE: NUOVE REGOLE (E MOLTI DUBBI) PER GLI INTERMEDIARI
Che cosa qualifica, nell’attuale sistema distributivo, il consiglio professionale e la consulenza dell’intermediario assicurativo professionale? Quali rischi originano da queste attività in seguito alle recenti evoluzioni della normativa europea e di quella italiana che l’ha recepita così come all’orientamento della giurisprudenza nazionale? Come si possono prevenire e gestire? In quale modo la grande disponibilità di dati, anche comparativi, messi a disposizione dalle piattaforme basate sull’intelligenza artificiale cambierà l’attività d’intermediazione? Sono state queste le domande al centro del Laboratorio degli Intermediari del CESIA, il secondo del 2021. Di seguito sono riportati, in sintesi, i principali interventi.
Sapigni: “La centralità dell’intermediario dipende dal consiglio professionale”
“L’intermediario continua a svolgere un ruolo centrale nel mercato assicurativo, ma questa centralità non è una naturale conseguenza del mettere in contatto domanda e offerta. È, invece, una conquista che deriva dalla capacità degli intermediari di adattarsi all’evoluzione del contesto di mercato, in questa fase caratterizzato dalla progressiva affermazione della omnicanalità. Il consiglio professionale, non la consulenza, è la componente decisiva della centralità”. Lorenzo Sapigni, rappresentante generale e Country Manager Italia di CGPA Europe, da poco nominato anche European Underwriting & Claims Director della compagnia, ha focalizzato l’intervento sulla connessione diretta tra centralità dell’intermediario nella distribuzione e consiglio professionale.
“La centralità si conquista sviluppando con le compagnie un rapporto di collaborazione su basi paritetiche e non conflittuali; valorizzando l’autonomia operativa; contribuendo alla definizione delle politiche commerciali e quindi applicando effettivamente la Product Oversight Governance (POG); personalizzando l’offerta”.
“Il consiglio professionale, più della consulenza, è l’atto che qualifica la relazione tra intermediario e contraente e si concretizza in diversi aspetti: verifica puntuale e continua nel tempo delle esigenze e dei bisogni dell’assicurato; mantenimento di una relazione costante con il contraente lungo tutta la durata del contratto; informazioni e suggerimenti per sottoscrivere un prodotto assicurativo in modo consapevole”.
“La capacità di fornire un consiglio professionale impone agli intermediari una formazione continua perché solo la preparazione permette di dare al cliente un valore aggiunto rispetto agli altri canali (digitale, banche, poste). Implica, inoltre, la gestione professionale dell’assistenza in caso di sinistro e una corretta conoscenza e analisi dei rischi, anche utilizzando gli strumenti tecnologici e informatici di supporto alla personalizzazione dell’offerta”.
“Per conservare la centralità, infine, gli intermediari devono anche adottare nuove modalità di accesso al cliente, a cominciare da quelle digitali; segmentare i clienti secondo la modalità di accesso all’offerta che essi preferiscono; combinare i canali di contatto in funzione della tipologia di prodotto distribuito; rendere disponibile l’informazione nei modi preferiti dal cliente”.
Landini: “Come si è passati dalla consulenza obbligatoria alla consulenza eventuale”
“Stiamo vivendo una fase caratterizzata da tendenze antitetiche: da una parte, le tecnologie digitali rendono possibile la personalizzazione del prodotto assicurativo; dall’altra, l’IDD spinge verso una standardizzazione, basti solo pensare ai documenti informativi precontrattuali (DIP), alla previsione solo eventuale della raccomandazione personalizzata o alla creazione dei cluster di clienti e prodotti propria della POG”. Sara Landini, docente di diritto privato e di diritto delle assicurazioni all’Università di Firenze, membro del Comitato Scientifico del CESIA, ha ripercorso le tappe che hanno portato alla nuova definizione della consulenza.
“Prima della IDD, i giudici, a cominciare dai francesi negli anni ‘60, avevano individuato nell’obbligo di consiglio un obbligo incorporato nell’intermediazione assicurativa, non isolabile dal rapporto tra intermediario e assicurato. La giurisprudenza ha sempre ribadito quest’obbligo che implica, per agenti e broker, dover sempre mettere la propria professionalità a disposizione del cliente, l’obbligo, usando le parole del dottor Sapigni, di un consiglio professionale”.
“Con l’IDD si parla di consulenza sin dalle premesse: due considerando che precedono l’articolato della direttiva (il 44 e il 45) pongono le basi per una consulenza come raccomandazione personalizzata solo eventuale. Nel Codice italiano delle Assicurazioni Private (CAP) la definizione di consulenza è ricondotta alle raccomandazioni personalizzate, fornite su richiesta del cliente o su iniziativa del distributore, in relazione a uno o più contratti di assicurazione. Le nuove norme configurano dunque una duplice attività distributiva: con o senza consulenza. Esiste davvero una distribuzione senza consulenza?”.
“In sintesi oggi sono tre per l’intermediario le possibilità di relazionarsi con il cliente: offerta conforme ai demands and needs del cliente con una informativa che indirizzi la scelta del cliente verso il prodotto per lui più adeguato avvicinabile al consiglio professionale di cui sopra; la raccomandazione personalizzata, attraverso la quale l’intermediario indica motivando al cliente il miglior prodotto assumendo una responsabilità che, tra l’altro, giustifica un extra compenso; la raccomandazione imparziale, basata sull’analisi di un numero sufficiente di contratti di assicurazione disponibili sul mercato, che gli consenta di formulare una raccomandazione personalizzata, secondo criteri professionali, in merito al contratto assicurativo adeguato a soddisfare le esigenze del contraente (art. 119-ter, comma 4, del CdA)”.
“In questo quadro s’inserisce la variabile dell’intelligenza artificiale (AI) che, attraverso l’elaborazione dei dati, permette di personalizzare la produzione e la distribuzione supportando l’attività d’indirizzo dell’intermediario. Come inquadrare l’AI nella relazione tra intermediario e cliente è questione aperta che non potrà comunque prescindere dalla considerazione dell’intelligenza emotiva: cioè la capacità dell’individuo di riconoscere, discriminare ed etichettare le emozioni, gestendo le proprie e quelle altrui per raggiungere determinati obiettivi. La macchina può imitare processi d’intelligenza emotiva, ma può usare l’intelligenza emotiva? La distribuzione può trovare nell’AI uno strumento per migliorare il servizio, ma non la si può totalmente automatizzare senza perdere sul piano dell’interesse del cliente”.
Marano: “Un mosaico di norme di difficile applicazione”
“Non c’è da essere sorpresi se la nuova normativa sulla distribuzione assicurativa stia generando così tanti dubbi e difficoltà applicative. Tutto, in fondo, era facilmente prevedibile se ripensiamo ai princìpi e ai modelli che hanno guidato la formulazione della IDD: pervenire alla massima tutela del consumatore allineando la disciplina della distribuzione assicurativa a quella finanziaria prevista dalla MiFID II (Markets in Financial Instruments Directive)”. Pierpaolo Marano, docente di diritto delle assicurazioni e di diritto commerciale all’Università̀ Cattolica di Milano, membro del Comitato Scientifico del CESIA, ha analizzato i motivi che rendono complessa la nuova normativa per la parte che riguarda la consulenza.
“La consulenza dell’intermediario assicurativo era contemplata tra le attività d’intermediazione assicurativa individuate nel codice delle assicurazioni sin dalla sua adozione e nessuno si era mai interessato del tema: era dato per scontato che quest’attività fosse strettamente connessa all’esercizio della professione. L’IDD ha smontato questo sistema perché, volendo equiparare la distribuzione assicurativa a quella finanziaria (considerata una forma desiderabile di tutela del consumatore), ha di fatto aperto la strada a numerosi distinguo”.
“Princìpi e regole della distribuzione finanziaria sono stati estesi alla distribuzione di prodotti di tutti i rami assicurativi. In ossequio al principio informatore della normativa, il legislatore italiano è andato anche oltre quando si è trattato di recepire la direttiva nell’ordinamento nazionale. IVASS e CONSOB hanno così dovuto comporre un mosaico normativo che, quasi inevitabilmente, presenta alcune incongruenze. Oggi ci troviamo così di fronte a molteplici forme di consulenza (raccomandazione personalizzata, consulenza imparziale, consulenza continuativa) che configurano un quadro complesso e foriero d’incertezze applicative. Risultato? L’intermediario si chiede quale delle attività svolte sia oggi definibile effettivamente come consulenza e, in quanto tale, soggetta a specifici adempimenti ed esposta a profili di responsabilità diversi da quelli associati al mero collocamento del prodotto”.
“Se si può giustificare l’equiparazione della consulenza nella distribuzione assicurativa a quella finanziaria per i prodotti del ramo Vita con componente finanziaria, considerando la loro natura e finalità, molto più ardua è la comprensione e l’applicazione per i prodotti del ramo Danni”.
“Si può davvero ipotizzare, per esempio, una consulenza continuativa nel ramo Danni? Una consulenza di questo tipo richiederebbe un rapporto quasi osmotico con il cliente, in assenza del quale, in caso di sinistro, l’intermediario finirebbe per assumere un rischio non sostenibile. E ancora: qual è la differenza tra consulenza e consulenza imparziale? La consulenza non implica pur sempre una comparazione tra la pluralità di prodotti compresi nel portafoglio a disposizione dell’intermediario?”.
“Infine, se la vendita senza consulenza è comunque riservata ad intermediari qualificati professionalmente, quali differenze sostanziali sono individuabili per graduare la diligenza richiesta all’intermediario rispetto ad una vendita con consulenza? Queste differenze saranno apprezzate dalla giurisprudenza chiamata a valutare la responsabilità dell’intermediario?”.
Sandro Amorosino, Presidente del Comitato Scientifico del CESIA, ha chiuso il Laboratorio toccando i diversi punti oggetto del confronto.
La consulenza e i supporti digitali all’attività degli intermediari
“La prima riflessione riguarda la consulenza come concetto generale e il consiglio professionale personalizzato. La differenza dovrebbe farla il fattore umano, inteso come la somma tra la professionalità acquisita e dimostrata nel tempo dall’intermediario e la fiducia attribuitagli dal cliente. Il fattore umano è una componente ineliminabile”.
“Una seconda considerazione riguarda le piattaforme informative digitali che supportano l’attività degli intermediari: bisogna valutarle superando le contrapposizioni schematiche (per esempio, human advice contro spersonalizzazione, oppure personalizzazione contro standardizzazione), che non colgono la complessità della realtà”.
“Le applicazioni informatiche servono, anzitutto, a ridurre le asimmetrie informative in capo ad agenti e broker. Per quanto bravo ed esperto, un intermediario non può conoscere all’istante tutte le variabili. Le piattaforme, quindi, sono uno strumento per rafforzare e valutare le professionalità e integrare le conoscenze, ma non possono sostituire la funzione dell’intermediario. L’adozione di questi strumenti implica, in ogni caso, l’aggiornamento professionale e impone anche una riqualificazione delle reti di vendita, compito molto difficile”.
“La professoressa Landini ha spiegato che il trend è la personalizzazione dell’offerta, che andrebbe qualificata come algoritmica, perché solo per via algoritmica si possono confezionare prodotti apparentemente su misura per il cliente. Apparentemente perché, come succede quando si va in un negozio di vestiti, anche se la taglia è, più o meno, giusta vari adattamenti sono necessari. Così il prodotto assicurativo che sembra adatto al cliente va poi aggiustato, compito che inevitabilmente spetta all’intermediario. La personalizzazione algoritmica aiuta, ma c’è il consiglio del professionista che ha il polso del mercato e l’occhio clinico, costruiti con l’esperienza”.
“Le informazioni rese disponibili dalle applicazioni digitali sono, comunque, di grande aiuto perché, come le neuroscienze ci insegnano, spesso le decisioni umane divergono dalla razionalità a causa di disturbi inconsapevoli dovuti a propensioni soggettive, alla propria cultura, a informazioni suggestive. Disporre di dati organizzati, già filtrati ed elaborati, può ridurre questi disturbi e aiutare a prendere decisioni corrette”.
I profili giuridici della consulenza
“Il professor Marano ci ha fatto riflettere sul fatto che non esiste la consulenza, ma esistono le consulenze, un po’ come quando, molti anni fa, uno dei maestri del diritto civile, Pugliatti, insegnò che non esisteva la proprietà in astratto, ma esistevano le proprietà: agraria, urbana, intellettuale ecc.”.
“La consulenza può essere declinata in molti modi. Anche quando al sostantivo consulenza facciamo seguire l’aggettivo personalizzata indichiamo un box, una scatola, che può contenere cose assai variegate. Se parliamo di consulenza imparziale dobbiamo sempre aver chiaro che l’imparzialità è relativa: non è il meglio in assoluto ma il meglio in rapporto a quel cliente che, per quanto tipizzato, richiederà sempre, per restare alla metafora, un aggiustamento del vestito. Imparziale vuol dire, quindi, che la consulenza è prestata con la massima cura e attenzione, ma è in funzione del bisogno di quel cliente, della sua taglia personale (età, orientamento ecc.)”.
“Il professor Marano ha richiamato l’attenzione su due questioni rilevanti per determinare il servizio dell’intermediario e le sue implicazioni. Una è la differenza tra vendita con e vendita senza consulenza. Su questo va detto che, se non si tratta proprio di un servizio banale, un contenuto di consulenza è sempre presente, anche se non evidente. L’altra riguarda la continuità del rapporto, poiché si instaura un rapporto contrattuale di durata. Questa continuità serve non solo a scandire, nel tempo, le rispettive prestazioni, ma anche ad adeguarsi alle mutate esigenze del cliente. La continuità, quindi, è strumentale allo sviluppo dei rapporti con quel determinato cliente”.
Prodotti, tariffe e comparazioni digitali
“Negli ultimi tempi, alcuni prodotti sono scomparsi dal mercato, perché non convenienti per chi li colloca, ma ne sarebbe necessaria l’offerta. I giuristi anglosassoni li definiscono beni meritevoli, nel senso che servono alla collettività. Pensiamo al post Covid: certi prodotti assicurativi costerebbero talmente tanto da non essere accessibili. Siamo in uno dei casi, non numerosi, in cui credo si debba riconsiderare un intervento pubblico, delle imprese assicurative pubbliche, in forma di società, per soddisfare il mercato non servito.”
“Al di là della completezza dell’offerta, il tema della qualità dei prodotti si collega a quello delle tariffe. Spesso le tariffe assicurative sono di facciata e, nella pratica, i premi delle polizze si riducono sensibilmente. Si capisce bene che, in un sistema di comparazioni digitali, stabilire quanto siano attendibili le tariffe pubblicate è un punto essenziale perché se le tariffe sono solo di facciata, qualsiasi algoritmo diventa inutile. Se le tariffe pubblicate non sono attendibili si determina, per via telematica, un divario tra elaborazioni e realtà. Infine: una tariffa ridotta fatalmente incide sulla qualità del servizio offerto e, in termini generali, sull’efficienza del mercato”.
Criteri per progettare le applicazioni e sostenibilità
“Qualche cenno, infine, a due problemi di ordine più generale. Il primo riguarda le comparazioni digitali. Con quali criteri sono progettate le applicazioni che ne sono alla base? Le considerazioni critiche al riguardo sono molte e, soprattutto, le piattaforme sono in continua evoluzione. Negli Stati Uniti, molti algoritmi sono stati ritarati seguendo, ad esempio, il parametro della correttezza politica, il che può portare a esiti di distorsione del mercato”.
“L’altro problema origina da una locuzione mito della nostra epoca, la sostenibilità, che ora si vuole applicare anche all’offerta assicurativa. Mi sono occupato di ambiente per molti anni e ho sviluppato una particolare sensibilità sul tema ma, mi domando, che cosa può portare a definire un prodotto assicurativo ecologicamente pregiudizievole? Quelli che incentivano condotte non ecologiche? Per esempio, assicurare un fuoristrada perché molto inquinante?
Sul punto, c’è molto da ragionare”.